11 maggio 2006

Un rigore a favore del Bologna ha rovinato Nucini

MILANO - "Ho aperto gli occhi il 14 gennaio 2001. Arbitravo rubentus-Bologna, a nove minuti dalla fine ho dato un rigore contro la rubentus. Mi hanno squalificato per quattro domeniche".

Il rigore c'era o no?
"Che importanza ha? Un arbitro può anche sbagliare. Invece quel giorno io venni punito come se avessi fatto la cosa più grave del mondo. Due giorni dopo ebbi un lungo colloquio con Pairetto, a Coverciano. Pairetto mi chiese conto del rigore, io gli risposi, e mi ritrovai squalificato. E allora ho capito come funzionava il gioco".

E come funzionava?
"Funzionava che bisognava essere amici. E amici degli amici. E che se non eri amico degli amici eri un nemico. E io lo ero. Funzionava così. Comunque, per la cronaca, secondo me quel rigore c'era. Tiro di Pecchia, Iuliano ci mette la mano. Vennero a protestare Davids e Zidane, ma Iluliano non aprì bocca. E in televisione, ammise il fallo. Ma quell'intervista è sparita".

A parlare, in un bar all'aperto affacciato sull'autostrada Bergamo-Milano, è Danilo Nucini. Ha 45 anni, gli occhi blu, il cranio rasato. Secondo alcuni è un pentito, secondo altri è una vittima, lui si definisce un caterpillar e, con una punta di autoironia, il Cheguevara degli arbitri. In realtà è semplicemente un ex giacchetta nera italiana di medio livello che per una serie di circostanze ha deciso di raccontare l'ambiente in cui per anni si è mosso. "Un sistema da ribaltare dall'inizio alla fine. Un mondo in cui si insegna la sudditanza psicologica sin dai primi anni di carriera, sin dalle categorie inferiori".

Sudditanza nei confronti di chi?
"Nei confronti dei designatori ma anche nei confronti dei colleghi più anziani, nella consapevolezza che nel momento in cui sbagli vieni punito severamente. Puoi anche sparire. Perché tutto è impostato sulle decisioni di questi signori che gestiscono i rapporti in quel modo lì. Loro vogliono essere i papi e i re e devi cercare di accontentarli in campo e fuori. Il sistema è questo o lo accetti o ti stritola".

E come si fa ad accontentarli?
"Devi ingraziarti loro e i potenti amici loro, dalla mattina alla sera e in tutte le serie e categorie. È evidente che più è alta la categoria e più sono potenti le persone da ingraziarsi. Così è inevitabile che molti arbitri finiscano con il cercare o l'accettare un rapporto privilegiato con le società. L'importante è dimostrarsi affidabili, in modo da ottenere protezione. La protezione è quella che ti fa andare avanti, ti fa assegnare le partite importanti. Io non credo che ci siano arbitri comprati, nel senso che gli arrivino valigie di quattrini, e se si scoprisse che qualcuno ha dei conti correnti all'estero dovrei dire che sono un fesso che non si è accorto di niente. Io ho visto un film diverso, dove il vantaggio se arbitravi in un certo modo era la protezione, il gradimento dei grandi che permetteva di diventare internazionali anche ad arbitri tecnicamente modesti. Io contro questo sistema ho fatto una lotta dall'interno per anni, e la conseguenza è che in serie A ho arbitrato ventiquattro partite in tutto. Eppure la promozione in A l'avevo ottenuta come primo classificato".

Come è possibile che fino a ieri nessuno avesse il coraggio di parlare?
"Non lo so. Ma so che nessuno oggi può dire che non sapeva. Corioni, il presidente del Brescia, ha detto che se non si comportava in un certo modo gli mandavano la squadra in Interregionale, e magari ha anche ragione. Ma come fai a tacere, quando hai investito miliardi, quando hai delle responsabilità davanti a una città? Io avrò anche fatto il Cheguevara dell'arbitraggio, ma oggi mi sento la coscienza a posto".

Perché raccontò quelle cose a Facchetti? E cosa gli disse esattamente?
"Io credo che non sia corretto riferire i contenuti dei molti incontri che ebbi con Facchetti. Dico solo che non è stato un incontro casuale. Con Facchetti siamo stati in confidenza, se non amici, per anni".

Come era nato il contatto?
"Bisogna tornare alla squalifica che seguì il rigore dato al Bologna, e che scatenò un putiferio contro di me: voglio ricordare, per inciso, che il rigore non ebbe nessuna conseguenza concreta perché Cruz colpì la traversa e la partita finì uno a zero. Dopo la squalifica venni spedito in serie B, mi spiegarono che se volevo tornare ad arbitrare in A dovevo andare a chiedere scusa a Pairetto. Io mi rassegnai e chiesi scusa. Mi mandarono ad arbitrare Inter-Udinese. Inter all'arrembaggio, io cerco di lasciare giocare ma a un certo punto Di Biagio fa un'entrata pericolosa e devo fischiare per forza. Lui si arrabbia, fa per togliersi la maglia, io gli dico "Gigi guarda che se te la togli ti devo ammonire", e lui lascia stare. Negli spogliatoi arriva il commissario e mi fa una scenata perché non ho ammonito Di Biagio, dice che in tribuna c'era Pairetto che era del suo stesso avviso. Invece poi arriva Facchetti e mi ringrazia per il mio equilibrio. Il rapporto è nato da lì".

1 commento:

bassopolemico ha detto...

E con questo?

Io avrei titolato:
Nucini è amico di Facchetti.